Sunday, 25 April 2010

Modernismo

La ricerca della bellezza ha sempre portato le persone ad uno studio approfondito di ciò che l’estetica potesse dare a loro in termini pratici.
Andando con ordine potremmo capire come ciò che è bello sia cioè una pura intuizione dell’occhio umano di fronte ad un formalismo estetico che risponde strutturalmente a delle esigenze artistiche spesso personali.
Una bellezza quindi soggettiva che trae la sua espressione formale da una intuizione pura.
Purezza che sta alla base dell’oggettività di un’opera analizzata; proprio perchè pura, quest’opera deve essere completa in ogni sua parte in quanto può essere giudicabile.
Giudizio che ha delle cause non banali quali la completezza e la purezza intuibile.
Non sarebbe tale se l’opera non fosse compiuta. Proprio perchè “un giudizio estetico può compiersi nel momento in cui la mente umana percepisce una sequenza di elementi, come una sequenza di note nel caso di una composizione musicale, di colori nel caso della pittura, o di spazi nel caso dell’architettura” (J.F. Herbart). C’è da dire inoltre che un giudizio, di qualunque genere esso sia, non può rivelarsi se non in uno stato di assoluta indifferenza, oggettività di fronte a quell’opera che è in analisi, in modo da poter mantenere un equilibrio mentale che trascende da eccitazione e malinconia.

Ma facciamo un passo indietro…o meglio cerchiamo di capire in che epoca viviamo…

Fino a pochi secoli fa il punto di riferimento per qualsiasi architettura era la classicità; quella storia, quel punto fisso che fungeva da mediatore tra la teoria e la pratica architettonica. Nell’ultimo periodo si affrontano in modo completamente diverso questi aspetti progettuali. Il nodo che tiene insieme l’architetto al pensiero architettonico è la funzione sociale che l’opera del primo dovrà avere. Questo implica un approccio al progetto che pone in primo luogo il problema della forma generica che risponde a delle esigenze sociali. Ed il risultato di ciò lo si ritrova nella modernità.

E’ importante capire ciò perchè significa che andrà perso il valore formale dell’edificio come unico, come entità isolata rispetto al contesto. “In termini pragmatici è chiaramente impossibile creare un edificio specifico avendo come obiettivo un fine assoluto prefissato, poichè ciascuna nuova unità non solo cambierà l’ordine esistente, ma modificherà anche, con la sua stessa presenza, ogni unità futura” (P. Eisenman)

Mi trovo d’accordo con lo stesso Rowe quando dichiarava che nulla più poteva succedere in architettura dopo il 1965, ovvero dopo la morte di Le Corbusier. Rowe infatti interpreta l’operato dell’architetto svizzero come fosse il punto di arrivo del “più sofisticato formalismo modernista”.

Al giorno d’oggi potremmo rifarci benissimo al pensiero kantiano secondo cui ciò che è al centro dell’idea di forma è proprio il processo di comprensione inteso come pura forma dell’intuizione o come forma del pensiero, cioè come processo concettuale attraverso il quale vengono mediate le diverse forme dell’intuizione. Per Kant il concetto di forma non si riferisce alla fenomenologia superficiale delle cose, ma al processo di formazione della rappresentazione degli oggetti della natura. Come ha sostenuto Gasché, l’idea di forma è il processo di sintesi senza il quale nessuna intuizione sensibile e nessun processo cognitivo potrebbero avverarsi.

1 comment:

Salvatore D'Agostino said...

---> Filippo.
hai centrato in pieno la sfida del contemporaneo, non possiamo parlare di 'modernismo' ma di 'processo concettuale' del progetto con una consapevolezza l'architettura non è arte. Occorre affiancare a questo tema la ‘processualità’ degli utenti questo ci porta a ragionare non sul concetto del decostruttivismo (appiccicato a Eisenman) ma sul concetto ‘diagrammatico’ dell’’architettura.
Un invito a riflettere su questi argomenti con un po’ più di mediterranietà (non nel senso folk o regionalistico) ma osservando la lezione del ‘barocco’ reinventato nella Sicilia orientale o il Liberty ovvero la prima ‘avanguardia europea’ inventata a Palermo.
Saluti,
Salvatore D’Agostino